i racconti del sé, ricordi

La foto

  
 Si trattava di una foto con tanto di pieghe ed anni addosso. Era lì, dietro gli sportelli in vetro del mobile, in salone. Era lì ogni giorno, da giorni, da quando lei ricorda di aver visto per la prima volta. E le capitava di dimenticarla, verso febbraio/marzo, quando quella casa rimaneva sola, contornata di ricordi ed umidità.

Così quel giorno, dopo tanti giorni di silenzi e pensieri poco nuovi, il suo occhio, distratto da un tè fumante, la scorse ancora.

Lei non poteva. Non poteva fare a meno, ogni volta, di perdersi in quella immagine per almeno 8 minuti e 7 secondi. Ed anche quel pomeriggio si perse lì, tra i colori sbiaditi e le tre ragazze raffigurate. Delle tre una la conosceva bene. Talmente bene da tornare indietro ogni volta che ne respirava il ricordo, indossando i pantaloni neri ed il maglione a trecce blu.

Lei, l’unica riccia delle tre. L’unica dal sorriso che ancora oggi la contraddistingue, forzato e poco genuino. Quasi dovuto.

Quel pomeriggio, di umide idee, tra il vapore dell’infuso ed il suono della tovaglia in plastica sotto le sue braccia, decise di entrarvi. Decise sì, di entrare in quella foto e parlare con lei, con quel sorriso forzato, con quei ricci che il tempo le rubò, anni più tardi, restituendoli al mittente senza troppi grazie.

Fu un attimo. Un incontro storto, adeguato alle pieghe della carta e del tempo, un sospiro di malinconiche follie mai dichiarate. Si guardarono negli occhi che non erano altro che gli stessi. Uno specchio composto da anni e pentimenti. Un’impronta di pieghe e perdoni mai concessi.

Ci riuscì. Riuscì ad avvicinare quei ricci di un tempo ed accarezzare quella fronte così forzatamente tesa dal sole e da un’adolescenza poco fiabesca. E non le disse molto. Molto altro se non “abbine cura”. Abbine cura, sì.

Il suo cruccio. Di una vita. In un attimo trovò sollievo a tal punto che al suo ritorno, davanti a quella tazza meno fumante e sincera, sentì rinascere a poco a poco le viscere di tutto il suo corpo. Ogni singola e sconosciuta vena iniziò a gonfiarsi, a farsi forte, a sentirsi viva, a battere forte.

Abbine cura, Gina. Abbi cura del tuo corpo, del tuo cuore, del tuo reale stato d’animo. Ed impara, con gratitudine, a sorridere ad ogni caduta, ad ogni suono di legna rotta sotto i passi del giorno, ad ogni no che ti salverà.

Le bastò uno sguardo, lo sguardo giusto per sistemare quel riccio caduto sulla fronte ed insegnare a se stessa, alla se stessa di vite prima, il modo giusto per imparare.

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Discussione

3 pensieri su “La foto

  1. Bella si respiro forza di vita e positività. Buona serata 🙂

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    Pubblicato da Soliloquio in compagnia | 22 agosto 2015, 20:58
  2. Che bello questo incontro. Che bella questa storia. Che bello questo viaggio.

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    Pubblicato da Simone, quello di @purtroppo | 22 agosto 2015, 22:11

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